Informazioni

Titolo: Ricordare nomi e ricostruire storie. Una banca dati sulla deportazione nel Novarese

Autore/i: Gianni Galli

Parole chiave: Deportazione, Seconda guerra mondiale, IMI, Antisemitismo

Come citare questo articolo: Gianni Galli, Ricordare nomi e ricostruire storie. Una banca dati sulla deportazione nel Novarese, in “I Luoghi della storia nel Novarese e nel Verbano-Cusio-Ossola”, A. 1 – N. 1/2024

Ricordare nomi e ricostruire storie. Una banca dati sulla deportazione nel Novarese

Le origini

Dovremmo fare un archivio dei deportati novaresi. Visto che hai finito con le carte di Ferruccio Maruffi, te la sentiresti di occupartene?”. Non so se queste furono proprio le parole che usò l’allora direttore dell’Istituto storico Piero Fornara Mauro Begozzi, ma la sostanza era questa. Del resto, per chi si occupa di storia della Resistenza, le varie forme di deportazione sono uno dei principali ambiti di ricerca e l’Istituto di Novara-VCO non faceva eccezione. Infatti sin dalle sue origini, nelle interviste fatte ai partigiani, già risaltavano alcuni casi di esperienze di lager e negli anni Ottanta, in collaborazione con altri enti come l’Associazione Nazionale ex Deportati e l’Università di Torino, l’Istituto ha collaborato alla ricostruzione delle storie di deportati locali attraverso le testimonianze di quanti erano sopravvissuti.[1]

Ma il primo embrione di questo database è stato sicuramente la pubblicazione della storica Gisa Magenes di un elenco di 99 nomi di deportati novaresi.[2] Eravamo nel 1994, lo stesso anno di edizione dell’opera pionieristica di Italo Tibaldi sulla deportazione politica italiana, Compagni di viaggio.[3] Il testo di Tibaldi fu uno dei punti di partenza del progetto (caldeggiato per anni da un altro illustre deportato, Bruno Vasari) che grazie all’iniziativa dell’Università di Torino, in particolare di Nicola Tranfaglia e Brunello Mantelli con la collaborazione degli Istituti storici della penisola, portò alla pubblicazione nel 2009 del volume contenente i 23862 nomi dei deportati politici italiani.[4] E fu proprio in quei primi anni Duemila, ripartendo dalla pubblicazione di Magenes e interagendo con il progetto torinese, che Mauro Begozzi, decise di promuovere la realizzazione di un database specifico sulla deportazione novarese nei campi nazifascisti.[5]

 

I primi passi

Il lavoro è iniziato riordinando tutte le informazioni a disposizione per recuperare la memoria degli eventi e delle persone che avevano subito ogni forma di deportazione o che avrebbero dovuto subirla ma sono state uccise prima, come è il caso degli “ebrei del Lago Maggiore”. Si era deciso però di escludere, pur con motivate eccezioni, gli IMI, per i quali – vista la dimensione del fenomeno – ci sarebbe voluto un database apposito, per altro già esistente a livello nazionale.

All’inizio era tutta carta: una serie di schede nominali con riferimenti biografici e qualche fotocopia. In seguito i dati che andavano aumentando sono stati messi su un database realizzato con Microsoft Access. Solo in anni più recenti, grazie alla collaborazione e alla disponibilità della Casa della Resistenza,[6] è stato caricato, o per meglio dire riscritto completamente con ampliamenti e integrazioni, documenti e foto, nella banca dati on line presente sul sito della Casa. La consultazione al pubblico del database, consentita a partire dall’aprile 2022, ha permesso certamente una maggiore fruibilità del lavoro e nello stesso tempo favorito, come finora è avvenuto, l’arrivo di nuove informazioni sui deportati già in elenco e su nuovi casi. Questo l’indirizzo: http://archivio.casadellaresistenza.it/archivi/?q=deportazione/progetto

 

Questioni di metodo

I criteri che ci eravamo posti risultavano differenti rispetto a quelli adottati dagli storici torinesi che si stavano occupando del fenomeno a livello nazionale perché includevano non solo i deportati politici, ma anche quelli razziali, i lavoratori coatti, i deportati rimasti nei campi italiani di transito (Bolzano, Fossoli e Risiera di San Sabba a Trieste) e gli ebrei stranieri finiti nei lager appositamente creati all’inizio della guerra dal governo italiano. Si trattava però a questo punto di chiarire le diverse tipologie di deportazione e, problema non meno complesso, l’appartenenza o meno al Novarese delle persone individuate.

Per quanto riguarda la prima questione, una distinzione che ci premeva fare, perché spesso portava a equivoci e confusioni, era tra i campi di concentramento (KL/KZ – Konzentrationslager), riservati principalmente a detenuti politici e dissidenti in genere, e i campi di sterminio (VL – Vernichtungslager), riservati quasi esclusivamente a ebrei e a Rom e Sinti. Ma nel territorio tedesco andavano considerati anche i campi per lavoratori coatti, vale a dire la manovalanza praticamente gratuita costituita dopo il 1943 dagli italiani in precedenza emigrati in Germania per lavoro e da tutti quelli letteralmente razziati nell’Italia del Nord durante l’occupazione nazista in svariate occasioni: rappresaglie, scioperi, rastrellamenti e altro. Il loro destino era lavorare nelle aziende tedesche fortemente carenti di manodopera. Le condizioni di vita erano in molti casi migliori rispetto alla norma, godevano di un minimo di libertà, ma anche per loro il lavoro pesante, le malattie e le violenze portavano spesso alla morte. Gran parte dei deportati novaresi finirono a Chemnitz e a Zwichau, sottocampi di Flossenbürg, in Sassonia.

Quanto all’Italia, abbiamo considerato i campi di transito, che per i novaresi sono stati esclusivamente Fossoli e Bolzano, e i campi di internamento per ebrei stranieri.[7]

By ЭЯMДИИФ БIFFI, CC BY-SA 3.0, Link

Si sono evidenziate queste diverse tipologie ben sapendo però che ogni classificazione sconta il limite della genericità e dell’arbitrarietà e tenuto conto che, in particolare nell’ultimo anno di guerra, le distinzioni tra deportati finivano per sfumare quanto alle loro condizioni e soprattutto al loro utilizzo. Inoltre molti erano i casi in cui l’identità del prigioniero non coincideva con il campo in cui si trovava: civili e qualche militare destinati ai campi per politici e politici rinchiusi in campi per lavoratori coatti.

Quanto all’appartenenza al Novarese, si è convenuto di considerare tali i nati e i residenti nella provincia di Novara anche se arrestati e deportati in altra provincia, ma anche tutti i non novaresi arrestati e deportati dalla provincia di Novara o nella provincia di Novara (come gli ebrei stranieri internati in alcuni Comuni). Inoltre in un caso sono stati incluse anche persone di altre province la cui persecuzione e deportazione si è intrecciata strettamente con quelle di novaresi.

Nonostante tutte queste distinzioni, la carenza di informazioni riguardo a certe situazioni o persone non ha evitato di avere ancora casi dubbi non inseriti nel database e in attesa di ulteriori verifiche.

 

Come si presenta il database

Si tratta di una banca dati strutturata in modo simile a quelle già presenti sul sito della Casa della Resistenza e in particolare a quella sull’eccidio del lago Maggiore con la quale c’è un parziale interscambio, nel senso che non solo è presente un link di rinvio a quel database, ma sono incluse anche qui le 58 schede di ebrei coinvolti nella strage.

Dopo le prime tre pagine che contengono le indicazioni introduttive e metodologiche riassunte in precedenza, ce ne sono altre quattro che individuano le diverse tipologie di deportazione. I menù a tendina permettono di approfondire i vari temi e di fornire ulteriori distinzioni tra deportati.

La prima tipologia che si incontra è la deportazione razziale: si è mantenuto il lessico di allora e quindi all’interno di essa si considerano le persone di origine ebraica come se fossero appartenenti a una razza, chiarendo comunque la natura del razzismo italiano e la legislazione razzista dell’epoca. In questo ambito sono incluse le persone uccise (o deportate, come è il caso degli arrestati nella città di Novara) durante la cosiddetta strage del lago Maggiore, gli ebrei fermati alla frontiera Svizzera mentre tentano di espatriare e poi deportati e infine gli ebrei stranieri confinati in internamento coatto in altre parti d’Italia o in internamento libero in alcuni comuni della provincia. Al momento si sono individuate 20 persone fermate mentre cercavano rifugio in Svizzera passando dal confine novarese e 15 internate (internamento libero o coatto) che sommate alle vittime della strage degli ebrei nel Novarese porta il totale a 93 persone.

Nel Novarese non c’erano campi di internamento coatto per ebrei stranieri, ma in alcuni comuni vennero mandate persone in internamento “libero”, una sorta di confino. Si trattò di Verbania, Oleggio, Romagnano Sesia, Vespolate. A questi si dovrebbe aggiungere anche Baveno dove furono trasferiti Joseph Wofsi e Emma Baron ai primi di settembre 1943 (di fatto ritornarono nella loro abitazione lasciata all’inizio della guerra). I due coniugi furono però arrestati e assassinati pochi giorni dopo, nell’ambito della strage degli ebrei nel Novarese.

La seconda tipologia è la deportazione politica, che comprende il maggior numero di persone tra vecchi antifascisti, partigiani o collaboratori per un totale di 226 persone.[8] Loro, deportati per quello che facevano e non per quello che erano (come invece gli ebrei), erano arrestati principalmente in seguito a rastrellamenti o a operazioni militari. I novaresi finivano in gran parte nei campi di Dachau e di Mauthausen.

Il numero più esiguo di persone[9] lo troviamo invece nell’ambito della deportazione militare, che costituisce la terza tipologia Pur sottolineando, come già ricordato, il fenomeno gigantesco degli IMI rispetto alle altre categorie di deportati, qui abbiamo inserito solo coloro che, per vari motivi, vennero tradotti anche in altri campi di concentramento. Per i novaresi questo ha voluto dire principalmente nei KL di Dachau e di Dora Mittelbau.

Clotilde Giannini

L’ultimo ambito riguarda la deportazione civile, nella quale rientra un’ampia varietà di persone: da quelle catturate per rappresaglia a scioperanti, da giovani portati in Germania a lavorare a persone che semplicemente tentavano di espatriare.[10] Il destino di alcuni di loro seguirà poi quello di molti partigiani, finendo nei KL, nei lager per politici. Interessante a questo proposito è la storia di tre operaie coinvolte negli scioperi della primavera del 1944, Clotilde Giannini, Camilla Campana e Luigina Cirini, che vennero spostate in vari campi, per lo più tradizionali KL, ma finirono temporaneamente anche ad Auschwitz, pur non essendo di origine ebraica. E questo fa capire come incominciassero a saltare, nel corso del 1944, gli ordinati schemi di deportazione dei tedeschi.

Gianluigi Molinari, verbanese, deportato come lavoratore coatto a Zwickau

Altri ancora invece vennero mandati nei campi per lavoratori coatti, in molti casi sottocampi di KL, creati appositamente per le esigenze delle aziende tedesche. Su questi ci si è voluti soffermare, in quanto il lavoro coatto ha rappresentato un fenomeno di rilievo.  La carenza di manodopera nelle fabbriche in Germania (i giovani tedeschi erano tutti arruolati) venne compensata con la deportazione di molti lavoratori da tutti i territori occupati, non solo dall’Italia del Nord, da cui secondo alcune stime sarebbero comunque state trasferite circa 100.000 persone in età da lavoro tra il 1943 e il 1945. Queste razzie aumentarono però il malcontento presso la popolazione e nell’interesse della Germania una parziale soluzione fu trovata, in particolare in Francia e in Italia, aprendo in questi paesi aziende tedesche, come la Todt, che assumevano personale locale.

L’ultima parte del database, forse la più interessante da consultare, comprende l’archivio anagrafico: ogni scheda nominale contiene la maggior parte delle informazioni per ora disponibili e un rinvio alle fonti bibliografiche e archivistiche per chi volesse approfondire. Si tratta di un lavoro in continua evoluzione e revisione: le schede dei deportati sono attualmente 488 una in meno di due anni fa, ma nel frattempo oltre a svariate integrazioni dovute a nuovo materiale, sono stati aggiunti quattro nomi e ne sono stati cancellati cinque in quanto nuove fonti hanno dimostrato l’assenza di legami con la provincia di Novara per quelle persone. Si tratta ormai anche di un lavoro collettivo, di un esempio di Public history, che dipende molto da nuove informazioni che possono giungere dagli utenti della banca dati.

Per chi si è soffermato sui numeri: la somma tra quelli riportati a proposito delle diverse forme di deportazione non arriva a 488 perché ci sono poco più di un centinaio di persone di cui al momento non si hanno dati sufficienti per poter indicare con relativa certezza la tipologia d’appartenenza.

 

Prospettive e obiettivi futuri

La ricerca è partita principalmente con un obiettivo storico: dare un nome e ricostruire le vicende dei deportati locali. Mettere ordine e fare una sintesi di tutto quello che si poteva sapere su di loro serve sia agli storici, gli esperti del settore, sia anche ai famigliari che vogliono informazioni su loro parenti e che a volte, come è successo, forniscono altro prezioso materiale proveniente dagli archivi privati.

Ma ben presto la prospettiva si è ampliata: la conoscenza e l’approfondimento di certe storie e del contesto in cui si sono svolte pensiamo possa e debba servire anche a mantenere viva l’attenzione e la discussione sulle deportazioni (e le violenze connesse) come elemento strutturale delle guerre (e non un effetto collaterale o casuale) e quindi far riflettere su tutte le conseguenze che si verificano quando si sceglie l’opzione militare per affrontare i conflitti.

In questo senso il lavoro può proseguire con approfondimenti, nuove ricerche o percorsi didattici, che colleghino quelle storie a eventi attuali.

E naturalmente resta sempre anche l’obiettivo di realizzare una nuova banca dati sugli internati militari del Novarese.


Note:

[1] A. Bravo, D. Jalla (a cura di), La vita offesa, F. Angeli, Milano 1986. In questo testo, che raccoglie duecento testimonianze di ex deportati, sono presenti anche le interviste fatte da Gisa Magenes, Filippo Colombara, Alberto Lovatto e Enrico Strobino a una dozzina di novaresi.

[2] Il lavoro, pubblicato prima sulla rivista Fogli sensibili nel 1994 e successivamente su Resistenza Unita, aprile/maggio 1995, si basa sui dati raccolti dall’Istituto E. De Martino.

[3] I. Tibaldi, Compagni di viaggio, Franco Angeli, Milano 1994.

[4] N. Tranfaglia, B. Mantelli (a cura di), Il libro dei deportati Vol. I: i deportati politici 1943-1945, Mursia, Milano 2009. A questo testo sono seguiti altri due volumi di approfondimento e ricerca su aspetti locali della deportazione e sulle origini e gli sviluppi del sistema concentrazionario.

[5] Tra i deportati novaresi sono ovviamente inclusi anche quelli dell’attuale Vco, in quanto la provincia di Novara comprendeva anche il Verbano Cusio Ossola. Il VCO diventa provincia autonoma nel 1992.

[6] Sostegno e importanti contributi sono venuti in particolare da Ester Bucchi De Giuli e da Gianmaria Ottolini.

[7] Sull’internamento “libero” e “coatto” e sui cosiddetti campi del duce, si veda C. S. Capogreco, I campi del duce, Einaudi, Torino 2014 e il sito www.annapizzuti.it.

[8] Sempre tenendo conto che le distinzioni scontano alcune imprecisioni e ambiguità, la cifra totale si può scomporre in 188 partigiani riconosciuti, 24 collaboratori dei partigiani, 14 “politici” (per lo più vecchi antifascisti).

[9] Sono 16 i militari inclusi con storie ed esperienze a volte molto diverse tra loro.

[10] In questo caso la classificazione è ancora più ardua. In generale si tratta di civili che non rientrano nelle altre categorie (partigiani in senso lato, ebrei, militari), ma di cui si hanno sufficienti informazioni per ricostruire almeno sommariamente le loro storie. La cifra complessiva e provvisoria è di 51.