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Titolo: Tornare ai valori

Autore/i: Giannino Piana

Parole chiave: Resistenza, Costituzione, Capitalismo

Come citare questo articolo: Giannino Piana, Tornare ai valori, in “I Luoghi della storia nel Novarese e nel Verbano-Cusio-Ossola”, A. 1 – N. 1/2024

Tornare ai valori

La crisi che la politica oggi attraversa nel nostro Paese e che ha trovato la massima espressione nella nascita di un governo di estrema destra, che ci riporta indietro nel tempo con rigurgiti autoritari e nazionalisti fino a ieri impensati (e impensabili), non ha radici soltanto strutturali e istituzionali, ma va fatta risalire, più radicalmente, alla lacerazione del tessuto valoriale che ha rappresentato dopo la Liberazione il perno intorno a cui ruotava non solo la vita politica, ma la vita dell’intera società, investendo i diversi campi dell’attività umana. A perdere consistenza nella coscienza collettiva sono infatti quelle “evidenze etiche” attorno alle quali, a prescindere dalle diversità culturali, ideologiche e di progettualità politica, convergeva nel dopoguerra la maggioranza dei cittadini, dando vita ad un ethos civile, che ha trovato la sua espressione più alta nella Carta costituzionale.

Molti sono i segnali di questo processo di oscuramento dei valori condivisi, che ha prodotto (e produce) un allarmante deterioramento della “vita pubblica”. Dagli episodi di corruzione sempre più frequenti, che hanno coinvolto (e coinvolgono), sia pure in misura diversa, tutti i partiti politici divenuti di fatto centri di spartizione del potere, all’affermarsi di una politica incentrata su una forma di pragmatismo appiattito, dovuto al venir meno di ogni prospettiva ideologica – la giustificata reazione nei confronti delle ideologie totalizzanti del “secolo breve” è sfociata nella messa al bando (ingiustificata) dell’idea stessa di ideologia; dall’assenza diffusa nella popolazione di tensione sociale e di perseguimento del “bene comune” – preoccupante è, a tale riguardo, la mancanza del senso di responsabilità civica e della “cultura dei doveri” – al consolidarsi di un sistema economico neoliberista caratterizzato da un mercato senza regole, che incrementa in termini esponenziali le diseguaglianze tra le classi sociali e tra i popoli. Tutto questo senza dimenticare – è il dato più allarmante – il ritorno a forme autoritarie di gestione del potere, alla tentazione di scelte scioviniste e autarchiche, nonché l’emergere di atteggiamenti e di comportamenti xenofobi e razzisti.

 

Le ragioni del declino

Lo scenario descritto è tutt’altro che rassicurante. L’insieme dei processi ricordati crea una situazione di forte obnubilamento della coscienza civile che mette in seria difficoltà gli sviluppi della vita democratica. Le ragioni di tale obnubilamento sono diverse e di diversa natura. La prima (e forse la più importante) è rappresentata dall’affermarsi di forti spinte individualiste, che hanno le loro radici in una   (o del  ), dove ad assumere il carattere di criterio di giudizio della condotta umana è esclusivamente la logica del desiderio (o del piacere), la quale, se radicalizzata, conduce a una soggettivizzazione dei comportamenti e, più radicalmente, dei valori, con la ricaduta in un assoluto relativismo, che rende impossibile l’elaborazione di una piattaforma etica comune.

Non tutto in questa svolta, che nasce sulle ceneri della cultura sociopolitica degli anni Settanta, deve essere considerato negativo: si pensi soltanto all’importante funzione esercitata dal movimento femminista nello sforzo di recuperare il “personale” sul terreno della politica, facendola uscire dalle secche di uno stato di dissociazione alienante. Ma non si può negare che la linea di tendenza prevalente sia stata (e sia) quella del rifugio nel “privato” alla ricerca di una realizzazione personale – ricorrono per questo con frequenza temi come il recupero del corpo e dell’eros purtroppo a lungo rimossi o il perseguimento di una felicità strettamente individuale (che è tutt’altra cosa della “felicità politica” aristotelica) – la quale si traduce nella totale emarginazione di ogni impegno sociale e di militanza.

A tale visione della realtà – è la seconda ragione dell’obnubilamento segnalato – concorre a dare il proprio contributo l’attuale sistema economico neocapitalista (non è  del resto l’individualismo il presupposto fondativo dell’economia classica?), che ha nel mercato, e in un mercato liberista, il quale ha assunto, oltre a dimensioni mondiali – il cosiddetto “mercato unico” –, i tratti di una ideologia negativa, la quale è divenuta egemone dopo la caduta delle grandi (tragiche) ideologie del “secolo breve”. Un mercato selvaggio, dunque, le cui regole si ispirano a criteri utilitaristici – dall’efficienza produttiva al consumo – i quali finiscono per diventare i parametri valutativi delle scelte personali e sociali. Alla domanda “che senso ha fare questa o quest’altra scelta?”, domanda che sta a fondamento dell’etica – e che è inoltre alla base delle grandi narrazioni religiose, dei sistemi metafisici e delle costruzioni ideologiche forti –, si sostituisce la domanda “serve o non serve?”, che rende in partenza impraticabile la ricerca di un ethos comune attorno a cui convergere.

A non consentire la formulazione di un sistema valoriale, che assuma i connotati di un’etica civile, concorre, da ultimo – è questa la terza ragione dell’obnubilamento – lo sviluppo, negli ultimi decenni, di tecnologie sempre più sofisticate e pervasive, che non hanno soltanto ricadute strutturali, ma modificano profondamente la coscienza dando vita a una vera e propria mutazione antropologica. Si assiste così al passaggio dal “reale” al “virtuale” con effetti di vasta portata anche a livello etico. Il venir meno delle tradizionali coordinate spazio-temporali per il crearsi di una mancata circoscrizione dello spazio – si agisce all’interno di uno spazio illimitato – e del dispiegarsi di un tempo percepito sempre più come tempo ristretto – una sorta di eterno presente – determina, da un lato, una situazione di destabilizzazione e, dall’altro, la perdita della memoria e della proiezione nel futuro.

Al ritmo accelerato dei cambiamenti si associa, e acquista un peso decisivo, una forma di razionalità strumentale, per la quale – come già affermava Bacone –   , cioè esercitare il dominio sulla realtà, facendo leva su parametri valutativi del comportamento ispirati alle logiche del “fare” e dell’”avere” (non dell’”essere”); logiche che finiscono per mettere del tutto tra parentesi la domanda di senso, la quale – come si è accennato – costituisce il contesto entro il quale trova il suo radicamento l’etica. Si fa così strada una sorta di pragmatismo a-valoriale, che si proietta sul terreno socio-politico con la conseguenza dell’esclusione da essa di ogni tensione progettuale.

L’insieme dei fenomeni descritti converge poi nel dar vita a una   – così la definisce papa Francesco – che, al di là dell’oscurarsi nelle coscienze di valori quali la gratuità e la solidarietà, la compassione e la pietas, entra in netto contrasto con il processo di interdipendenza, dovuto all’avanzare della globalizzazione, che impone di fatto, a livello strutturale, l’unità della famiglia umana. La crisi dell’etica raggiunge qui il livello più basso, con il pericolo (non puramente ipotetico) di trasformarsi in crisi di civiltà.

 

La lezione del paradigma costituzionale

Un modello paradigmatico cui è possibile ispirarsi per ricuperare oggi l’ethos civile al quale si fa qui riferimento è rappresentato dalla Carta costituzionale, sia per i contenuti valoriali in essa presenti (nella prima parte in particolare), sia per le modalità con cui si è pervenuti alla sua elaborazione. Grande importanza va assegnata – è giusto sottolinearlo – al clima di quel momento storico. Si era appena usciti dalla guerra di Liberazione, che aveva lacerato profondamente il Paese con esiti devastanti non solo a livello materiale, ma soprattutto morale e civile. La lunga e tragica stagione del regime fascista, che aveva distrutto ogni forma di democrazia, facendo strage di molti avversari considerati nemici e costringendone altri all’esilio, nonché imponendo una forma di nazionalismo chiuso che impediva ogni possibilità di collaborazione con gli altri Paesi, ha finito per favorire l’adesione di uomini e donne – purtroppo non molti – di grande statura morale attorno agli ideali di libertà e di giustizia, di uguaglianza e di solidarietà, che sono la base dello sviluppo della vita democratica.

La partecipazione alla Resistenza e al Comitato di liberazione nazionale aveva contribuito a consolidare tale adesione. Il desiderio di uscire da una situazione eticamente e socialmente inaccettabile, lottando per restituire al Paese la dignità perduta, rendeva trasparente l’importanza dei valori ricordati, assimilati in profondità, a livello esistenziale, nel vivo della vita quotidiana creando – come si è già ricordato – le condizioni per la loro trascrizione in un documento, la Carta costituzionale, che conserva intatta sul terreno etico la propria attualità. Il dibattito di alto livello tra uomini politici appartenenti ad aree culturali, ideologiche e politiche diverse – dibattito nel quale non sono mancati anche momenti di forte tensione – ha dato vita al manifesto di un ethos civile, che ha concorso, in misura determinante nell’immediato dopoguerra alla ricostruzione del Paese.

Sono molti inoltre, al di là dei valori ai quali si è fatto riferimento, le strutture portanti di un sistema democratico indicate dalla Carta come essenziali; strutture che forniscono ai valori il supporto per la loro concreta applicazione alle diverse situazioni in cui si svolge la vita della collettività. Tra queste meritano di essere qui ricordati gli impegni di cui lo Stato deve farsi carico per favorire gli sviluppi di una vera democrazia e assicurare condizioni di vita ordinata e pacifica. Nel primo caso non si può non ricordare l’art. 3 nel quale è affermato con forza il dovere dello Stato di “rimuovere gli ostacoli”, che impediscono ad alcuni cittadini il pieno esercizio dei diritti di cittadinanza; nel secondo, il rinvio obbligato è all’art. 11, dove non si esita a riconoscere la possibilità di rinuncia dello Stato a una parte del proprio potere a favore di un ente superiore, mettendo in questo modo in discussione l’idea di sovranità assoluta propria degli Stati-nazione e aprendosi a forme di gestione sovranazionale della vita socio-politica.

In gioco sono in quest’ultimo caso i valori della partecipazione e della pace, che, insieme a quelli già citati, concorrono alla costruzione di una democrazia sostanziale (e non puramente formale), la quale ha nella promozione della pace l’obiettivo più elevato. A questo modello di democrazia conferiscono poi un importante contributo altre coordinate come il rapporto tra diritti civili e diritti sociali, con l’assegnazione a questi ultimi di un ruolo di primo piano – ha qui origine lo Stato sociale (Welfare) –   e con la garanzia a tutti i cittadini di poter fruire di beni fondamentali, quali la salute, il lavoro e l’istruzione. O come la delineazione di una relazione dinamica tra principio di sussidiarietà, nella duplice versione verticale e orizzontale, e principio di solidarietà; relazione che favorisce, da un lato, l’iniziativa dei singoli cittadini e delle istituzioni più a loro vicine e finalizzando, dall’altro, ogni attività sociale al perseguimento del bene comune.

 

Alla ricerca di un nuovo sistema valoriale

Il sistema valoriale della Carta costituzionale, nato in un momento felice di tensione civile e morale – quello dell’immediato dopoguerra – rappresenta un modello irripetibile. Le profonde e rapide mutazioni socio-culturali e la rivoluzione scientifico-tecnologica hanno reso (e rendono) insufficiente la prospettiva umanistica tradizionale. Ciò che è doveroso recuperare è, in ogni caso, lo spirito di quel momento statu nascenti, sia per mettere in atto un processo di liberazione della politica dall’attuale grave deriva, che ha generato profonda disaffezione verso di essa in una fascia assai estesa della cittadinanza – le indagini statistiche rivelano che mai è stato così basso il livello di consenso ai partiti (si spiega in questo modo il forte  astensionismo elettorale) – sia per ricostruire la società, in tutte le sue articolazioni – la corruzione non è soltanto un fenomeno della politica –, spingendola a ritrovare un tessuto valoriale, il quale garantisca al Paese la tensione al “bene comune” e il pieno rispetto della legalità.   

Il presupposto necessario perché questo avvenga è la ridefinizione del modello antropologico e culturale che va posto alla base della nostra società. Si tratta di andare oltre l’umanesimo della classicità, che riproposto nei termini tradizionali rischia di diventare una forma di ideologia anacronistica, per assumere come imprescindibile riferimento l’orizzonte culturale odierno profondamente segnato dalla forte presenza dell’istanza scientifico-tecnologica, senza rinunciare per questo al ricorso ai valori di sempre. In altri termini, si tratta di integrare tra loro cultura scientifico-tecnologica e cultura umanistica, dando vita ad un modello culturale capace di misurarsi concretamente e in maniera efficace con le nuove prospettive emergenti e con i significati (sempre parziali) che ad esse afferiscono, aprendosi a un ambito più vasto, quello dell’umanesimo, per rispondere all’ultima (decisiva) domanda di senso che non può essere elusa.

Libertà e giustizia, uguaglianza e solidarietà, partecipazione e pace – valori nei quali, come già si è detto, affonda le proprie radici la vita democratica – non cessano di costituire, nella loro dimensione formale, riferimenti ineludibili ai quali ispirare le proprie scelte, ma i loro contenuti reali – in questo consiste il passaggio dai valori alle norme – possono subire (e subiscono) profonde mutazioni a seconda delle trasformazioni storiche intervenute. La loro attualizzazione, stante la rapidità di tali trasformazioni, è oggi legata all’acquisizione di una metodologia duttile, che sappia affrontare correttamente l’odierno stato di complessità adeguandosi ai processi evolutivi in corso. A questa esigenza corrisponde l’etica della responsabilità weberiana, che ha come obiettivo la ricerca, in modo efficace, del “bene possibile” (non del “bene assoluto”) nelle diverse situazioni e che fa appello, di volta in volta, alla verifica delle conseguenze positive e/o negative delle azioni.

L’impegno è, in definitiva, quello della costruzione di un nuovo umanesimo, che metta seriamente in discussione la logica mercantile egemone, senza incorrere nel contempo nell’opposta tentazione di perseguire un astratto e utopico ideale che diviene del tutto improduttivo. La possibilità che questo si attui non può essere ricondotta a semplici trasformazioni strutturali e istituzionali, per quanto importanti. Esige un profondo cambio di mentalità, una vera metanoia, il passaggio cioè dall’individualità alla socialità solidale, in un clima di vera partecipazione alla vita pubblica. Partecipazione che implica, per potersi esercitare, il “sentirsi parte”, il senso cioè dell’appartenenza alla nazione in cui si vive e, in termini più ampi, all’intera famiglia umana, recuperando il senso dello Stato in un contesto universalistico, e il “prendere parte”, la disponibilità cioè a un coinvolgimento responsabile nella gestione e nel controllo della “cosa pubblica”. Ciò a cui occorre mirare è, in definitiva, la creazione di un “uomo nuovo” che sappia affrontare coraggiosamente la situazione attuale, coltivando con il proprio impegno la speranza nel futuro.